La prima volta con il "rapportone"

 

Durante gli anni cinquanta erano molto diffusi in Emilia gli "Audax ciclistici". Si trattava di prove aperte a tutti senza distinzione di età né di tipo di bicicletta posseduta. Erano prove a cronometro nelle quali era sufficiente completare il percorso entro un tempo massimo prefissato sempre piuttosto ampio. Poco più di una passeggiata, allora?. Niente affatto perché, non essendo stabilito un tempo minimo, questi "Audax" diventavano vere e proprie gare.

Con questa formula capitava spesso che, oltre ai normali amatori ed ai ciclisti della domenica, partecipassero anche forti dilettanti liberi da impegni in quella giornata. Vittorio Adorni, ad esempio, vinse una "Freccia dell’Appennino" e una Langhirano-Tizzano a media record.

Nell’estate del 1959 mi trovavo, come al solito, a passare le vacanze a Langhirano da nonna Adele e, con gli amici, ero uno dei più assidui partecipanti a queste prove.

A fine agosto era in programma la Torrecchiara-Corniglio a coppie su un percorso di 33 km nervosi, pieni di salite e discese, curve e controcurve. Quel percorso era il mio preferito perché mi permetteva di sfruttare al meglio le mie caratteristiche di ciclista leggero, scattante e poco potente.

L’anno prima la Torrechiara-Corniglio era stata disputata a staffetta e il mio amico Giancarlo Marchi e io avevamo ottenuto un anonimo ventiquattresimo posto con il tempo di un’ora e undici minuti.

Nel 1959, con un anno in più di esperienza ed il fatto di correre in coppia e non a staffetta, eravamo convinti di fare molto ma molto meglio.

La doccia fredda venne una settimana prima della gara. Decidemmo di provare il percorso "facendo il tempo". Durante il test non riuscimmo mai ad ingranare eppure eravamo discretamente allenati. Il tempo finale fu di un’ora e dieci minuti.

Un solo minuto in meno dell’anno precedente. C’era da cadere in depressione.

Ci allenammo comunque tutta la settimana ma il morale era sotto i tacchi.

La sera della vigilia, poco prima di cena, arrivò mio padre da Milano per seguirmi il giorno dopo.

La visita, assolutamente inaspettata, ebbe un effetto decisamente positivo sul mio morale. Fu una specie di iniezione di fiducia.

Dopo cena, Giancarlo venne a trovarmi per gli ultimi accordi e, alla presenza di papà, stabilimmo il piano d’azione.

Avevo letto e riletto "Prendi la bicicletta e vai", il manuale di Giuseppe Ambrosini, nel quale si raccomandava l’uso di rapporti agili e così avevo sempre fatto perché mi ero autoconvinto di essere incapace di spingere a lungo rapporti duri. Quella sera Giancarlo propose di usare il "rapportone" in gara tutte le volte che fosse stato possibile, anche in salita e poi … o la va o la spacca! Il mio compagno era molto più potente di me e la scelta poteva essere per lui logica, per me forse meno … ma sì … se si doveva ballare avremmo ballato! Inoltre, papà, sapendo che per me il punto più difficile sarebbe stata la salita di Ghiare, un tratto di circa un chilometro a pendenza costante, dritto come un’autostrada, propose a Giancarlo di farla tutta in testa senza chiedermi un cambio.

Andammo a letto presto, decisi a provarci.

La mattina dopo trovammo altre sorprese. Avevamo un seguito degno di Coppi-Baldini al trofeo Baracchi. Papà ospitava sulla sua "500" il nostro amico Giovanni Morelli, studente al conservatorio di Parma, la cui voce da tenore sarebbe stata perfetta per gli incitamenti; sulla vecchia Fiat "Giardinetta" di Armando Schianchi, cassiere della locale filiale della Cassa di Risparmio di Parma, era salito Mauro Corbelli con tanto di cartellone fuori dal finestrino; Lele "Cicetto" Grossi, con in mano due ruote di scorta smontate dalla sua bicicletta, era seduto sul sellino posteriore di un Motom "Delfino" guidato da un amico; infine c’era un’altra "500" piena di persone che non ho mai saputo chi fossero.

Il cielo era coperto, triste, quasi da pioggia ma tutto questo spiegamento di forze al nostro seguito ci aveva probabilmente "gasati" al punto giusto.

Pronti, via! Volavamo.

Nel primo tratto, in leggera discesa, Giovanni Morelli ci avrebbe detto poi che il tachimetro della "500" di mio padre segnava i sessanta all’ora.

Dopo una decina di chilometri raggiungemmo e superammo la coppia che era partita un minuto prima di noi.

Con enorme felicità constatavo che riuscivo a spingere bene il 49x16 anche su tratti discretamente impegnativi.

Arrivammo al punto cruciale, la salita di Ghiare. Come d’accordo Giancarlo si mise in testa a tirare sprigionando tutta la sua potenza. Tirava come un mulo, Giancarlo, in progressione costante e io gli stavo a ruota con facilità, mi facevo i complimenti da solo. Verso la fine della salita sentii chiaramente una persona a bordo strada dire ad un’altra: "Questi si che vanno forte!"

La salita era seguita da un tratto pieno di curve e saliscendi. Diedi subito il cambio a Giancarlo e mi accorsi che davanti a noi C’erano Berni e Caggiati, due ottimi corridori della categoria "allievi", partiti due minuti prima di noi.

"Dai, che è buona!" urlai a Giancarlo e li superammo in tromba.

I due ci tornarono sotto nella discesa verso il ponte di Miano ma oltre il ponte la strada riprendeva a salire.

"Metti il 16!" mi urlò Giancarlo che era tornato a tirare con la solita lena".

"Va bene" risposi, anche se il 16 l’avevo già messo da un po’, e gli diedi il cambio. L’altra coppia era sparita.

Ripensai a quanto asseriva nel suo libro di Giuseppe Ambrosini: "I rapporti duri accorciano la vita dei corridori".

"Ma quelli corti li sfiatano." Mi veniva da rispondere.

Gli ultimi cinque chilometri, quelli più duri, tutti in salita con curve ed un paio di tornanti, furono addirittura piacevoli, non sentivamo più la catena. A meno di trecento metri dall’arrivo sorpassammo di slancio la coppia partita tre minuti prima di noi proprio mentre stavano facendo la volata tra di loro.

Impiegammo un’ora esatta: dieci minuti in meno della prova della settimana prima. Una metamorfosi spiegabile solo con il diverso approccio mentale ed il clima che si era creato attorno a noi.

La classifica ci regalò un ottavo posto, risultato ottimo tenendo conto che davanti a noi si erano piazzati tutti corridori di buona caratura e di categoria superiore. Vinse la coppia Valla-Armani. Valla era un buon dilettante e Luciano Armani sarebbe poi passato al professionismo con buoni risultati. Al secondo posto si piazzò Emilio Casalini, altro futuro ottimo professionista, in coppia con Umberto Gandolfi, che l’anno prima aveva corso tra i professionisti con la maglia della Faema.

 

 

29 gennaio 2005