Il terzo uomo

 

Gli appassionati di cinema e gli ultrasessantenni ricordano certamente "Il terzo uomo", film del 1949 del regista Carol Reed. Era un thriller a tinte forti, interpretato da Joseph Cotten, Alida Valli e da un indimenticabile Orson Welles. Il film ebbe un notevole successo anche per l’ossessionante motivo conduttore, suonato alla cetra da Anton Karas.

Sull’onda di questo successo, si pensò di attribuire l’appellativo di "Terzo uomo" a Fiorenzo Magni, terzo uomo del ciclismo italiano dopo Bartali e Coppi.

Il campione toscano-monzese venne, dal 1951 in poi, soprannominato anche "Leone delle Fiandre", dopo avere vinto da dominatore la classicissima belga per ben tre anni consecutivi: 1949, 1950 e 1951. Erano i tempi in cui si partiva in treno con una valigia di fibra e con la bicicletta bagaglio appresso, un talloncino numerato con la città di destinazione impietosamente incollato dagli addetti delle ferrovie sulla sella, la preziosissima "Brooks", coccolata e ingrassata per mesi e mesi. Si affrontava l’avventura senza tecnico, senza meccanico e senza massaggiatore, qualche volta un gregario per fare compagnia. Il Giro delle Fiandre era la gara giusta per le doti di passista potentissimo di Fiorenzo che sapeva affrontare la gara con il massimo della concentrazione e dell’acume tattico.

Intelligenza, coraggio e capacità di soffrire sono state indubbiamente le grandi doti di Magni e, per questo, mi è sempre piaciuto chiamarlo "Fiorenzo Cuordileone". Per tentare di competere con "quei due", Bartali e Coppi, doveva cercare di sfruttare al massimo tutte le occasioni possibili e la loro rivalità. La sua struttura fisica lo costringeva ad una strenua difesa sulle grandi salite, dove cercava di limitare i danni, per poi buttarsi "a tomba aperta" in discesa.

Fu così che riuscì ad aggiudicarsi il Giro d’Italia del 1948. Il percorso della corsa rosa non prevedeva molte salite impossibili per un passistone come lui. La tappa più difficile sarebbe stata la terzultima, Cortina-Trento, con il Pordoi a quaranta chilometri dall’arrivo. Correva voce che Coppi e Bartali, avendo deciso di puntare tutto sul Tour de France, avessero deciso di non faticare più di tanto al Giro, cercando di giocarselo nel tappone dolomitico. Che Bartali avesse deciso così risultava chiaro anche dalla sua rinuncia a partecipare al Giro della Svizzera, rimettendoci fior di quattrini. Quanto a Coppi, forse, stava attraversando uno di quei ricorrenti periodi di abulia, tanto è vero che, poi, al Tour non sarebbe andato.

Magni, sfruttando al meglio la situazione, riuscì, nella prima parte del Giro, ad avvantaggiarsi consistentemente sui due rivali; tra l’altro, Gino, caduto in una delle prime tappe, doveva pensare più ai suoi problemi fisici che a dare battaglia. Si arrivò così alla Cortina-Trento con Ezio Cecchi, non più giovane portacolori della Cimatti, in maglia rosa, Magni, in maglia rosso alabardata della Wilier Triestina, ad un tiro di schioppo e "quei due" con diversi minuti di ritardo.

In vetta al Pordoi Magni passò con oltre 5’ di ritardo da un Coppi finalmente all’altezza della situazione. Si lanciò in un furioso inseguimento e giunse a Trento a meno di 3’ da Fausto. La maglia rosa era sua. E qui ci fu il fattaccio. La Bianchi ("La Bianchi e non Coppi", tenne a precisare anni dopo Fiorenzo) inoltrò reclamo perché Magni aveva ricevuto spinte sul Pordoi. Fu penalizzato di 2’ dalla Giuria ma riuscì a conservare comunque la maglia rosa con 11" su Cecchi. La Bianchi, valutando inadeguata la sanzione, decise di abbandonare per protesta il Giro con la squadra al completo.

Magni vinse il Giro d’Italia però la sua gioia svanì nell’amarezza. Percorse le ultime due tappe tra i fischi e gli insulti del pubblico e al Vigorelli di Milano dovette interrompere il giro d’onore alla prima curva per il lancio di agrumi da parte del pubblico che lo aveva accolto al grido di: "Fascista! Fascista!"

Bocconi amari e sfortuna furono fattori ricorrenti nella vita di Fiorenzo Magni. Nato a Vaiano di Prato il 7 dicembre 1920, scoprì di potere diventare un corridore ciclista solo a diciassette anni quando, in sella a una Coveri usata (costruita dal padre del noto stilista), riusciva, in allenamento, a tenere il passo di noti professionisti toscani come Bini e Cipriani. E qui arrivò il primo colpo della sfortuna: la morte del padre. Per il giovane Fiorenzo cambiò la vita. Con coraggio affrontò la situazione e, malgrado le difficoltà, continuò a correre in bicicletta.

La prima grossa affermazione giunse nel 1940, a guerra iniziata. Il 10 novembre, non ancora ventenne, partecipò al Giro della Provincia di Milano in coppia con Vito Ortelli. La gara si disputava a cronometro a coppie su di un percorso di un centinaio di chilometri da Milano a Codogno e ritorno a Milano, via Sant’Angelo Lodigiano. Magni e Ortelli, ancora dilettanti, poterono partecipare grazie ad una speciale deroga federale. I due giovani cedettero per soli 32" a Bartali e Favalli (Coppi-Ricci a 6’30") ma dominarono le prove su pista al Vigorelli e si aggiudicarono la vittoria finale.

La prestazione gli valse un contratto con la Bianchi ma la guerra buttò all’aria tutti i suoi sogni.

Nel 1945, finita la guerra, riprese a correre sotto i colori biancorossi del Pedale Monzese, gloriosa società dilettantistica di Monza, località nella quale si era definitivamente stabilito. E, proprio nel 1945, la sfortuna gli sferrò un’altra tremenda mazzata. Nell’infuocato clima del primo dopoguerra, qualche "galantuomo" pensò bene di lanciare pesanti accuse sul suo conto tanto che fu rinviato a giudizio con l’accusa di partecipazione a banda armata per l’eccidio compiuto dai nazifascisti a Valibona in Toscana. L’Unione Velocipedistica Italiana, senza aspettare l’esito del processo, lo sospese.

Fu poi completamente scagionato mentre tutti gli altri accusati, una trentina, furono condannati. Magni perse così l’intera stagione 1946. Con grande volontà, pur non correndo, si allenò puntigliosamente, meditando di prendersi grosse rivincite.

Nel 1947 si accasò presso la Viscontea di patron Tamassia e giunse subito settimo nella durissima "Sanremo" vinta da Bartali su Cecchi. Vinse la "Tre Valli Varesine" e fu nono al Giro d’Italia, dove si convinse di potere, in futuro, puntare alla vittoria.

Dopo quella amara del 1948, indossò altre due volte la maglia rosa finale del Giro: nel 1951, controllandolo la corsa dall’inizio alla fine, e nel 1955 con l’indimenticabile fuga in compagnia di Coppi nella penultima tappa, Trento-San Pellegrino, quando la vittoria finale sembrava già essere in mano al giovane Gastone Nencini.

Per tornare alle sfortune di questo grande campione, dobbiamo ricordare il ritiro di tutta la squadra italiana al Tour del 1950 per i fattacci del Col d’Aspin. Magni era maglia gialla dopo i Pirenei. Mancavano ancora le Alpi; forse non avrebbe portato la maglia gialla sino a Parigi ma, certamente, ce l’avrebbe messa tutta.

Anche il Campionato del Mondo non è mai stato fortunato per Magni. Nel 1951, a Varese, sembra fatta: Fiorenzo è tra gli otto fuggitivi che si giocano il titolo in volata. Con lui ci sono altri due italiani, Toni "Labròn" Bevilacqua e Giuseppe "Pipaza" Minardi, ma Minardi è stremato e Bevilacqua, fresco iridato nell’inseguimento su pista, vuole giocare le sue carte per tentare una fantastica accoppiata. Risultato: primo il bizzarro e talentuoso svizzero Ferdy Kubler, secondo Magni, terzo Bevilacqua. Nel 1954, a Lussemburgo, volatona a ranghi compatti. A Magni si rompe la sella e giunge quarto. Primo è lo sconosciutissimo tedesco Heinz Muller. Nel 1956, a Copenaghen, circuito piatto come un biliardo. Vanno in fuga in dodici tra i quali Rik I e Rik II (Van Steenbergen e Van Looy) e Magni. E’ difficile battere i due belgi in volata e per giunta Fiorenzo, all’ultimo anno di carriera, fora. Primo Rik I, secondo Rik II, dodicesimo Magni a 30".

Anche il traguardo di Sanremo è risultato nemico per Magni. Per lui ci sarebbe voluta la salita del Poggio e, soprattutto, la successiva discesa. Il miglior risultato fu un secondo posto, nel 1956, preso in contropiede dalla fuga del belga Fred De Bruyne.

Il 1953 poteva essere l’anno buono per vincere il Lombardia. Piove a dirotto. Entra in Milano un gruppetto di fuggitivi tra i quali Fiorenzo è sicuramente il più veloce ma ecco di nuovo la malasorte. Per la pioggia l’arrivo non viene giudicato sul traguardo del Vigorelli ma sull’adiacente via Giovanni da Procida. Qualche centinaio di metri prima del traguardo una maldestra segnalazione fà sì che alcuni corridori, tra cui Magni, sbaglino strada. Primo è il carneade Bruno Landi della Fiorelli, tre vittorie in carriera. Magni considera responsabile patron Torriani e, per alcuni anni, non gli rivolgerà più la parola.

Al di là delle settantanove vittorie in carriera e delle innumerevoli prove di carattere, forse, la più grande impresa di Magni è stata il Giro d’Italia del 1956. Nella Grosseto-Livorno, nei pressi di Volterra, cade in discesa e riporta la frattura della clavicola sinistra. Il ritiro sembra inevitabile. Macchè! Il giorno dopo c’è riposo e poi c’è la Livorno-Lucca, 54 chilometri a cronometro. Il mitico meccanico Faliero Masi imbottisce il manubrio di gommapiuma, una spalmata di pomata alla novocaina e via! Il vecchio leone arriva nei dieci. Due giorni dopo è prevista la cronoscalata da Bologna al Santuario di San Luca. Fiorenzo non riesce a fare forza sul manubrio e allora Masi ha un’altra idea geniale: toglie la d’aria da un tubolare, l’attorciglia, ne fissa un’estremità al manubrio mentre l’altra estremità viene serrata tra i denti del corridore che, cosi, può "tirare" sul manubrio. La sfortuna si accanisce ancora: nella tappa di Rapallo, Fiorenzo cade ancora sulla spalla sinistra e si frattura anche l’omero. Resta comunque in corsa. Quartultima tappa, Sondrio-Merano. Si scala lo Stelvio. Magni non riesce a frenare con la mano sinistra. Masi gli sposta il freno anteriore a destra e applica alcuni rinforzi di cuoio sotto gli scarpini. Il corridore scende dallo Stelvio frenando don la mano destra e i piedi. A Merano: primo Cleto Maule, secondo Fiorenzo Magni. Il Giro sembra finito con la vittoria di Pasqualino Fornara, invece, il giorno dopo succede il finimondo. E’ la tremenda tappa del Bondone. Sotto la neve, in una atmosfera surreale, si ritira Fornara. Si ritira anche De Filippis, per pochi chilometri nuova virtuale maglia rosa. Learco Guerra, diesse della Faema, ferma Charly Gaul e lo ficca in una tinozza d’acqua bollente trovata chissà come. Gaul vince tappa e Giro, Magni è terzo al Bondone e secondo nella classifica finale. Finito il Giro, quaranta giorni di gesso.

Ecco di che pasta era fatto Fiorenzo "Cuordileone"!

 

 

24 settembre 2005