Il Giro non si fermò per il povero Orfeo

 

Orfeo Ponsin era nato a San Giorgio in Bosco in provincia di Padova il 1° settembre del 1928. All’anagrafe risultava "Ponzin" forse per quella confusione frequente in Veneto tra la "s" e la "z". La sua era una famiglia di contadini che, nel 1929, si trasferì a Valle Giolitti nel Monferrato in cerca di fortuna. Seguendo il fratello maggiore, dilettante U.I.S.P., il giovane Orfeo cominciò a correre in bicicletta, mettendosi in luce, più che per le vittorie, per la resistenza e per l’elegante colpo di pedale. Fu così che nel 1951 patron Graglia lo fece debuttare tra i professionisti nella torinese Taurea, al fianco di Alfredo Martini, dei fratelli Rossello e della giovane speranza piemontese Giancarlo Astrua.

Al Giro d’Italia di quell’anno, Orfeo si dedicò principalmente alla sua mansione di gregario che svolse in modo egregio finchè una caduta nella Trieste-Cortina lo costrinse al ritiro.

La Taurea, a metà stagione, chiuse i battenti e Ponsin si trovò disoccupato. Martini tornò alla Welter, Astrua, fresca maglia bianca del Giro, si accasò all’Atala, Vincenzo Rossello all’Arbos e il fratello Vittorio alla Fiorelli.

Anche Ponsin trovò subito uno stipendio alla torinese Frejus.

La Frejus gli rinnovò il contratto anche per il 1952. Nella squadra grigiorossa, rimasta orfana del talentuoso quanto bizzarro Ferdy Kubler, Orfeo avrebbe dovuto aiutare i due giovani capitani Angelo Conterno e Agostino Coletto. Prima di partire per il Giro d’Italia aveva detto alla morosa di volere finire il Giro cercando, magari, una vittoria di tappa. I progetti di Ponsin svanirono nella quarta tappa da Siena a Roma lungo la discesa che porta alla Madonna di Bracciano, una discesa dal nome curioso: Merluzza. Orfeo terminò lì il suo Giro e la sua vita contro un albero sul lato sinistro della strada.

Non fu mai chiarita – credo – la dinamica dell’incidente. Qualcuno parlò di uno sbandamento di un’auto del seguito; altri dissero di un errore del corridore che venne poi travolto da un auto.

Io, che avevo nove anni, ricordo una impietosa ripresa della "Settimana Incom" che mostrava il corpo del povero Orfeo a terra con il capo a pochi centimetri dall’albero maledetto. Non ho mai dimenticato quei pochi fotogrammi.

L’incidente non fu enfatizzato, anzi, si cercò di farlo passare in secondo piano. Sul settimanale "Lo Sport", Emilio De Martino gli dedicò pochissime righe. "Sport illustrato", il settimanale della Gazzetta lo fece semplicemente rientrare nella cronaca della tappa: "… INCIDENTI – Conte (a Colle Malamerenda) guasto meccanico ma subito riparte; Bermudez cade (a 145 km da Roma) e riporta lievi escoriazioni al braccio sinistro; Magni (ad Acquapendente km. 95,8) rompe un puntapiede, si ferma, ripara il danno e rientra in gruppo; dopo Vetralla caduta mortale di Orfeo Ponsin". Poi, nelle pagine successive, vennero dedicate al povero Orfeo quattro foto e poche righe di commento. Solo "Il calcio e il ciclismo illustrato", settimanale diretto da Leone Boccali dedicò un po’ di spazio alla disgrazia inserendo anche una drammatica foto.

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E il giorno dopo? Niente. Il giorno dopo era in programma la cronometro Roma-Rocca di Papa, il primo vero test del Giro. Per la cronaca vinse Coppi e Astrua indossò la maglia rosa. Fausto pose lì la sua prima pietra per la conquista del suo quarto Giro d’Italia.

Non ricordo che nessuno ci abbia mai raccontato i sentimenti di Coppi e Bartali alla partenza della cronometro ma sono sicuro che il pensiero di Fausto sia volato a Serse e quello di Gino a Giulio.

Ma lo spettacolo doveva continuare …

 

6 giugno 2011