La prima volta che lo vidi

 

Negrar è una località in provincia di Verona, più nota per essere il centro più importante della Valpolicella, terra di vigneti e ciliegi, dove si producono da sempre vini pregiati, che per essere il paese di Emilio Salgàri. Salgàri e non Sàlgari perché, in dialetto veronese, "salgàr" vuol dire salice.

Tornando ai vini, oltre al Valpolicella, appunto, nascono da queste colline due vini particolarmente cari agli intenditori, l’Amarone e il Recioto.

Da sempre, il lunedì di Pasqua, si tiene il Palio del Recioto, una rassegna al termine della quale viene proclamato, dopo meticolosi ( e reiterati) assaggi e secondo un regolamento particolare, il vincitore tra i produttori della zona.

Cosa ha a che fare un concorso enologico con il ciclismo? Nulla, se non che, quasi d’incanto, dopo i festeggiamenti, il martedì, il paese, ripulite le strade e sistemate transenne palchi e microfoni, si trasforma in teatro per una delle più importanti e selettive gare internazionali Under 23.

Il percorso è molto impegnativo e altamente spettacolare: prima di affrontare il tratto finale con l’impegnativa salita di Corrubbio e una picchiata di dieci chilometri verso il traguardo, i concorrenti devono affrontare per sette-otto volte un circuito intorno a Negrar con la salita verso la frazione Jago, non lunga, un chilometro circa, ma con alcuni tratti che ricordano il mitico Muro di Sormano.

Su questa salita, onorata da un pubblico da Giro d’Italia, il gruppone, che in partenza conta sempre almeno duecento corridori, si spolpa, giro dopo giro, per lasciare in corsa solo i più forti. La coda del gruppo si frantuma, alcuni corridori disegnano traiettorie a zig zag, per seguire invisibili tornanti, altri smadonnano contro il diesse che li ha iscritti a questa corsa, altri ancora hanno la faccia dei giudici del palio enologico del giorno prima, qualcuno mette piede a terra, i più ragionevoli, presa coscienza della situazione, girano la bicicletta e si staccano il numero dalla schiena.

Il "Gran Premio ciclistico Palio del Recioto", dal 1961, anno della prima edizione, non ha mai visto un frillo sul podio ma solo forti dilettanti, molti dei quali hanno poi percorso grandi carriere professionistiche.

L’albo d’oro è ricchissimo: basta citare i nomi di Francesco Moser, Giovanni Battaglin, Roberto Visentini, Dimitry Konichev, Mariano Piccoli, Alessando Bertolini, unico ad avere vinto la corsa due volte.

Nel 1994 sotto una nevicata fuori stagione, che aveva ulteriormente imbiancato i già bianchi ciliegi in fiore, Gianluca Pianegonda fuggì nella parte finale precedendo Oscar Camenzind e Falco Savoldelli.

Poi fu la volta di Mirko Celestino, Stefano Faustini, Oscar Mason e Paolo Bossoni.

Tra gli illustri piazzati di quegli anni troviamo Fondriest, Zaina, Abdujaparov, Pulnikov, Rebellin, Gibo Simoni, Figueras, Sgambelluri, Garzelli, Di Luca e Ivan Basso.

In occasione dell’edizione del 2000, vidi per la prima volta Damiano Cunego.

Mi trovavo a Negrar un po’ per la Pasqua – mia moglie e nata lì – e molto per la corsa, come sempre dall’ottanta in poi. Come al solito, mi procurai l’elenco degli iscritti e notai, con il numero 77, le gambe delle donne, appunto il nome dell’iridato juniores dell’anno prima; tra i suoi compagni di squadra alla Zalf Euromobil Fior erano Michele Scarponi e Daniele Pietropolli.

Al raduno di partenza, incuriosito, cercai di vedere che tipo fosse questo Cunego, del quale già si parlava molto bene. Vicino al palco delle premiazioni, Fontana, un costruttore di biciclette di Domegliara, aveva allestito un gazebo sotto il quale esponeva alcuni suoi gioielli, tra i quali la bici con la quale Cunego aveva vinto la maglia iridata; su un tavolo erano sparpagliati i suoi biglietti da visita e foto di Damiano in maglia iridata con tanto di bicicletta Fontana.

Presi una foto e un biglietto da visita e tornai a rituffarmi nell’allegra e colorata confusione del pre partenza.

Ad un tratto, tra altre maglie verdi con strisce verticali bianche e rosse, ecco il numero 77. Mi avvicinai con discrezione e, facendo finta di nulla, lo osservai per benino: un viso pulito e gentile, capelli biondicci, occhi furbetti e vivaci, statura non oltre il metro e settanta, cassetta toracica ben costruita, normotipo. E le gambe? Altro che gambe delle donne! La muscolatura era possente, quasi da velocista. Mi piacque subito, tanto da cercarlo ad ogni giro lungo la salita di Jago: saliva sempre con facilità, senza alcuna smorfia di fatica, sempre nelle prime trenta posizioni del gruppo.

Sulla salita di Corrubbio fuggirono quattro o cinque corridori; sul traguardo si impose lo svizzero Fabian Cancellara (attenzione anche a costui!) per poco più di una gomma su Franco Pellizotti. Bambìn Cunego fu settimo senza dare l’impressione di essersi dannato più di tanto.

L’anno dopo, sempre verso Corrubbio, fu Yaroslaw Popovych a lasciare la compagnia. Giunse solo, a braccia alzate, sulla linea del traguardo. Popovych avrebbe poi vinto il Giro d’Italia Under 23 e il campionato mondiale.

Poco dopo l’arrivo del vincitore, volata a sei per il secondo posto. Con uno scatto stile Montevergine, Bambìn Cunego stracciò i compagni di avventura.

Da quel giorno aspettai pazientemente la sua esplosione tra i professionisti.

Ah, dimenticavo, nel 2003, edizione vinta dall’ucraino Denis Kostyuk, si piazzò terzo, dopo avere fatto fuoco e fiamme in salita, Emanuele Sella, uno scalatorino leggerissimo, alto uno e sessantacinque circa, con un faccino da birbante che mi ricordava Pantera, personaggio indimenticabile, per noi ragazzi meno giovani, dei fumetti di Sciuscià.

 

29 maggio 2004