"W Fausto" scritto nella neve

 

Chi non ha mai visto quella foto di Fausto Coppi che, al Giro del 1953, solo verso la vetta dello Stelvio, passa davanti ad un "W Fausto" scritto nella neve? Pochissime persone senza dubbio: è una delle foto più celebri dell’intera storia del ciclismo.

Pochi sanno invece chi fu l’autore di quello scatto. Fu Tino Petrelli, punta di diamante di Publifoto, la mitica agenzia fotografica fondata da Vincenzo Carrese.

Tino, il cui nome di battesimo era Valentino, nacque nel 1922 a Fontanafredda nei pressi di Pordenone, terra di grandi vini. A dodici anni si trasferì a Milano e a quindici entrò in Publifoto come garzone di bottega. Iniziò subito in camera oscura, dove mise subito in mostra grande attitudine e rapidità. Carrese lo apprezzò ben presto e, dopo un solo anno di apprendistato, lo inviò, sedicenne, a fotografare il Gran Premio delle Nazioni all’Ippodromo di San Siro. Una delle foto scattate dal ragazzino mostrava la narice del cavallo nel preciso istante in cui tagliava la linea del traguardo:

Ebbene, quella foto fu pubblicata il giorno dopo su tre colonne in prima pagina dal Corriere della Sera.

Da lì partì la carriera di Tino Petrelli che non si limitò alle sole foto a soggetto sportivo ma spaziò in tutti i campi, documentando così la storia dagli anni trenta agli anni ottanta.

Fu lui a scattare le foto di Mussolini in piazzale Loreto, poi fotografò capi di stato, divi del cinema, cantanti, capi di industria e povera gente: la vita quotidiana a trecentosessanta gradi.

Fu lui a documentare l’alluvione del Polesine. Fu lui a fare innervosire Amintore Fanfani. Cosa era successo? Tino aveva maliziosamente immortalato Fanfani durante il Congresso Dc del 1959, ripreso da dietro, mettendo in evidenza che l’oratore stava parlando ai congressisti stando in piedi su un grosso pacco di giornali per sembrare più alto.

Qualche volta "provocava" la situazione da fotografare, come nella famosissima foto delle partigiane di via Brera del 1945. Le tre ragazze stavano andando a consegnare i fucili alle autorità, Tino le incontrò e chiese loro di imbracciare le armi, come fossero partigiane a caccia di fascisti. Un clic e via! Peccato che una delle tre avesse imbracciato il fucile capovolto!

Conobbi Tino Petrelli nel 1962, quando cominciai a dedicarmi con passione alle gare di regolarità in Vespa, molto in voga a quei tempi. Era il fotografo ufficiale di tutte le gare più importanti. Era amico di tutti i concorrenti per la sua disponibilità e la sua amabilità. Aveva sempre una buona parola per tutti, qualche battuta o storiella allegra, mai volgare; era un compagno con il quale era molto piacevole passare un po’ del tempo lasciato libero dalla gara. Per noi tutti era semplicemente Tino, così, senza cognome, Tino e basta e, quando non era presente (veramente poche volte, tutti si informavano sul perché della sua assenza.

Una sera del maggio 1963, nella hall di uno stupendo albergo di Mondello, la splendida spiaggia di Palermo, attendevo abbacchiato, seduto su un divano, l’inizio della cena ufficiale alla fine di un Giro dei Tre Mari, che mi aveva riservato poca gloria.

Tino mi si sedette a fianco, probabilmente per cercare di sollevarmi un po’ il morale.

Sapevo che aveva seguito tanti Giri d’Italia, che aveva immortalato tanti duelli Coppi-Bartali e che era molto amico di Fausto Coppi. Il Campionissimo si fidava ciecamente di lui, tanto da affidargli in diverse occasioni cose personali, perfino la borraccia. Parlando di queste cose mi passò la delusione per la gara e cominciai a chiedergli tutto ciò che mi veniva in mente su Gino e Fausto.

Fu così che mi spiegò come la foto dello Stelvio fosse stata "provocata".

Coppi aveva già staccato la maglia rosa Koblet e tutti gli altri. Qualcuno avrebbe poi giustificato la scarsa prestazione dello svizzero con il bioritmo; Gianni Brera avrebbe scritto di un inevitabile mezzo tradimento di Fausto nei confronti di un Koblet già condannato a causa di allergie da alta montagna.

Fatto sta che Coppi era ancora una volta "un uomo solo al comando". Tino, su un Airone Guzzi, riuscì a superare tutti: aveva "fiutato" il momento magico, aveva capito che Coppi non sarebbe stato più ripreso e che avrebbe vinto un Giro ormai perso. Doveva assolutamente immortalare l’avvenimento prima di arrivare alla vetta.

Ad un paio di tornanti dalla cima dello Stelvio, che veniva affrontato al Giro per la prima volta, scese dall’Airone - magnifico vocabolo attribuito anche al Campionissimo – perché aveva visto un ampio tratto di terreno semiverticale innevato. E lì fu folgorato dall’idea. Prese da terra un pezzo secco di ramo di abete e tracciò nella neve un "W Fausto" e, sotto a destra, una freccia indicatrice. Ebbe solo il tempo di impugnare la Leica che Coppi era già a poche decine di metri. Il momento era unico e assolutamente irripetibile. Tino sapeva che poteva sparare un solo colpo e non doveva ciccare. Quando ritenne Coppi sufficientemente a tiro, gli urlò con tutto il fiato che aveva in gola: "Fausto, guarda!". Fausto, pur sotto sforzo, piegò leggermente la testa verso destra e … click …la foto, una sola, era fatta.

Dal giorno dopo avrebbe fatto il giro del mondo.

A quel racconto mi venne la pelle d’oca. Il mio interlocutore aveva raccontato il fatto così pacatamente, sia pure in modo particolareggiato, che mi sentii tranquillizzato, quasi indifferente alla mia scadente performance sportiva: c’era sempre il tempo per rifarsi, come spesso diceva Tino specialmente ai più giovani, che non hanno la pazienza di attendere.

Tino Petrelli non ha avuto i riconoscimenti che avrebbe meritato, giusto una mostra alla galleria del Sagrato a fine carriera, un breve articolo sulla "Gazzetta" al momento della pensione e un servizio di cinque facciate su "Sette", in occasione della sua morte a fine 2001.

I suoi ultimi anni di vita sono stati purtroppo tormentati, le sue foto, come disse retoricamente qualcuno, sarebbero finite in quattro o cinque scatoloni custoditi dai famigliari in una sorta di dimenticatoio.

Non sono d’accordo: le sue foto di Mussolini in piazzale Loreto vengono riproposte con una certa frequenza e quella di Coppi sullo Stelvio, a distanza di mezzo secolo, è sempre tra gli emblemi del ciclismo romantico.

 

4 giugno 2004