Il "prestiné" del Giambellino
Era un mercoledì pomeriggio della primavera del 1958. Stava per iniziare una riunione per dilettanti e allievi al velodromo Vigorelli. Dallautunno dellanno prima avevo preso labitudine di frequentare la pista magica e la sua "zeriba" per accompagnare il mio amico Piero Pambieri che era riuscito a mettersi in luce nelle gare di velocità. La "zeriba" era abbastanza tranquilla, i corridori preparavano bici e indumenti per le gare che avrebbero avuto inizio da lì a poco. La quiete fu disturbata dallarrivo di un chiassoso personaggio: "Ohè, sun chi, sun turnà! La naja lè finida finalment! Tremate pelabrocchi: lè turnà el Cùdega!"
Mi informai dal vecchio Cappi, che era un po la banca dati del Vigo, e venni a sapere che il singolare personaggio altri non era che Mario Codega, ciclista dilettante di secondo o terzo piano, tornato dal servizio militare.
Codega infilò la maglia grigioblu della Spallanzani, si fece fare dal Cappi un massaggio per duecentocinquanta lire e salì in pista per partecipare alla corsa ad eliminazione.
"Un eliminato ogni tre giri. scandì la voce inconfondibile di Carlo Proserpio La prima eliminazione dopo cinque giri". Tano Belloni, in elegante gessato, papillon e cappello da cow boy, diede il via con il classico colpo di pistola.
Osservai con attenzione la corsa di Codega. Si arrabattava nelle posizioni di coda, saltabeccando da una ruota allaltra, nella speranza di indovinare quella buona. Al termine del quinto giro, la voce di Proserpio annuncio con voluta solennità: "Eliminato . Codega". Il pubblico, che non aspettava altro, applaudì simpaticamente. Codega tornò ansimante alla "zeriba" brontolando: "Se pudevi fa pussé de inscì. Lè dù ann che me aléni pù. Ma fra n mes ve fu vedè mi".
Codega era un personaggio speciale. Madre Natura non lo aveva dotato di qualità atletiche particolari né laveva fatto molto bello. Portava due occhiali da vista spessi con lenti spesse come fondi di bicchiere; aveva pochi capelli di uno strano colore biondo-rossiccio e tutta la rimanente peluria del corpo nonché ciglia e sopracciglia avevano un po le caratteristiche proprie degli albini. Sin qui la natura, il resto ce lo metteva lui: amava essere al centro dellattenzione, raccontava storie e barzellette, condite da fragorose risate e se anche non si rideva per le storie, a volte piuttosto sciape, si veniva coinvolti comunque dal suo comportamento. Parlava sempre in dialetto milanese e non ricordo di averlo mai sentito parlare in italiano, nemmeno se si correva sulla pista di Fiorenzuola o di Pescantina. "Mi sun un poer crist e parli domà in dialett soleva dire Me ciami Mario Codega ma lè l me nòm in dialett. In italian me ciami Mario Cotenna."
Una sola volta lho sentito esprimersi in italiano. Si correva una corsa individuale a punti; si arrotò con un altro corridore, caddero in cinque strusciando sui pregiati listelli di abete rosso della Val di Fiemme. Lasciarono qualche brandello di pelle sul nobile parquet dal quale asportarono il nero della polvere misto allinvisibile deposito lasciato dallo scorrere dei tubolari. Tornò tranquillo alla "zeriba" con una larga chiazza rossa come la brace sulla coscia destra, contornata dal nero dello sporco raccattato. Cantava: " Volare, oh,oh cascare, oh, oh, oh, oh .".
Codega faceva il "prestiné", il panettiere, in un negozio del Giambellino. Si svegliava presto come tutti i panettieri e così trovava il tempo per allenarsi nel pomeriggio. "Mi, ai quattrur de la matìna sun giamò in alenamént su la bici con la cesta."
Proprio nella panetteria del Giambellino strinse una fraterna amicizia con un giovane collega anch egli ciclista, Renato Longo, futuro pluricampione mondiale di ciclocross. Il giovane Longo, aveva avuto delle discussioni economiche con la sua società, lAugustea, ed era passato a difendere i colori gialloblu del Gruppo Sportivo Giambellino. Codega, di lì a poco, lo seguì, poi insistette tanto che riuscì a portare lamico in pista. Longo accettò solo per fargli piacere e, qualche mese dopo, vinse il titolo italiano dietro motori.
Non faceva la vita da atleta, Codega. Amava mangiare, bere, ballare, fare le ore piccole, andare a donne. Ai campionati italiani del 1958, che si svolsero al Vigorelli, si iscrisse al torneo dellinseguimento. Nelle qualificazioni stabilì il penultimo tempo e fu subito eliminato. "Ma se vurì da mi? disse, distrutto dalla fatica Almèn vun lho lassà de drè. Se podevi fa pussè de inscì? Sun stà in camporèla tuta la not".
Un giorno della tarda primavera del 1959, mentre sfogliavo "Ciclismo", lorgano ufficiale dellallora Unione Velocipedistica Italiana, tra i risultati delle corse lombarde, trovai " 1° Mario Codega (G.S. Giambellino)". Strabuzzai gli occhi, non era possibile! Invece, era proprio vero. In una corsa in Brianza erano andati in fuga in trenta o quaranta corridori, tra i quali Codega. Ad un paio di chilometri dal traguardo il "prestiné" era scattato e gli altri, forse sottovalutando la situazione, gli avevano concesso un certo spazio. Risultato: primo Codega per distacco.
Gli amici del Vigorelli gli fecero grandi feste come se avesse vinto un mondiale. "Adesso con quello che hai vinto (quindicimila lire) pagherai da bere a tutti". Codega scosse il capo e, con gli occhi che brillavano da dietro le spesse lenti, sentenziò: " Mi paghi da bév a nissùn cun la fadìga che hu fa. I daneé i spendi tuc cun i tusàn".
Forse nessuno seppe se effettivamente i soldi del premio furono spesi effettivamente con le donne, fatto sta che Codega non pagò da bere a nessuno.
Il "prestinè" del Giambellino non vinse altre corse e, mentre lamico Longo si imponeva nel ciclocross, nel giro di poco più di un anno sparì dalle corse e da Milano. Nessuno sapeva più niente di lui. Qualcuno azzardò lipotesi che si fosse trovato la morosa. Qualche altro, forse meglio informato, raccontò che aveva sposato una ragazza emiliana e si era trasferito a casa di lei. Lamico Casati si meravigliava: " Ma va là, lè imposìbil! Cume lha fa a truà mijé el Codega, inscì brùt cume lè."
Passò il tempo e di Codega nessuna traccia.
Nellestate del 1961, dopo avere già appeso la bici al chiodo, mi trovavo frequentemente in sella alla mia Vespa 150 azzurro metallizzato sul percorso Milano-Langhirano e ritorno. La cosa era tanto frequente che gli amici langhiranesi erano soliti dire: "Sit gnù a frustèr la via Emilia?"
In effetti non avevano torto perché evitavo il pedaggio autostradale e adoravo attraversare cittadine e paesi lungo la vecchia strada tanto che, in qualche misura, penso di avere contribuito a consumarne lasfalto.
Un lunedì pomeriggio, ero appena partito da Langhirano per tornare a Milano quando, nei pressi del Castello di Torrecchiara, vidi davanti a me un ciclista solitario. La sagoma mi pareva nota e più mi avvicinavo più mi convincevo. Quando riuscii a distinguere una vecchia e stinta maglia gialloblù del Giambellino, non ebbi più dubbi: era lui!
"Ohè, Codega, cosa fai da queste parti? - gli chiesi affiancandolo - A Milano non sanno più che fine hai fatto."
Continuò a pedalare senza mostrarsi sorpreso di vedermi: "Lassa perd! Renato (Longo) el sa tùt. A cà dun amìs mhan presentà na tusa e dopo tri meslho spusàda. Lè minga bèla ma lè na simpatia. Pensa, la porta i ugià cume mì però la ghe vèd men de mì. Sèm andà a stà a cà sua, a Felino. Ho dervì n negozi e fò semper el prestiné."
Mi spiegò poi che correva negli amatori e vinceva quasi tutte le domeniche.
Gli feci notare che, malgrado tutto, continuava a parlare sempre in dialetto milanese.
"Ma va là. mi rispose Parli in milanès perché lè la mia lingua madre, ma mi sun purtà de natura a imparà le lingue. Stà a sintì el mè parmigiano: Perma lè la citè dal bèli dòni e po a s magna da dio."
Mi chiese poi di farlo allenare dietro la mia Vespa. La strada verso Parma è in leggera costante discesa e il Codega si impegno alla morte: alè, 50 allora, alè, 55, alè, 60. alè 65. Ad un certo punto, dopo labitato di Corcagnano, sentii un "ciaoooo, Gianniiiii", mi voltai e vidi lo vidi salutare col braccio alzato mentre girava a sinistra per Felino.
"Ciaoooo, Codegaaaaa".
10 novembre 2008